Il Presepe di Greccio

di P. Gayan Fernando TOR

Frate Francesco d'Assisi morì nell'ottobre 1226 presso la piccola chiesa della Porziuncola e il suo corpo venne trasportato in Assisi per essere sepolto presso la chiesa di San Giorgio. A soli due anni di distanza, nel 1228 il papa Gregorio IX riconobbe la sua santità al termine di una procedura di canonizzazione in vigore da qualche decennio. In tale occasione fu lo stesso Pontefice – con una decisione più unica che rara - a commissionare a fra Tommaso da Celano la vita ufficiale del Santo che diverrà il distintivo del suo pontificato, tanto che quando si volle dipingere l'immagine di Gregorio IX presso il Sacro Speco benedettino di Subiaco, accanto fu raffigurata anche l'effigie di san Francesco. Tommaso da Celano nel giro di pochi mesi terminò il suo lavoro, eseguito appunto secondo l'ordine e le aspettative del Pontefice.

Nella narrazione di quella che divenne la leggenda nel senso proprio del termine, ossia testo da leggersi ufficiale del nuovo Santo, Tommaso certamente non scrisse tutto ma soltanto ciò che poteva mostrare il valore universale della vita presentata a tutti i fedeli. Per questo non meraviglia che alcuni fatti siano stati taciuti e altri fortemente evidenziati. Tra questi ultimi degno di nota è la narrazione della notte di Natale del 1223 che verrà conosciuta come "il presepio di Greccio". Innanzitutto Tommaso, riecheggiando la cosiddetta Regola non bollata di Francesco, afferma che «la sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare [...] la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo». Continuando, narra che egli aveva fortemente impresse nella memoria «l'umiltà dell'incarnazione e la carità della Passione»; loquace testimonianza di tutto questo è ciò che il Santo realizzò «tre anni prima della gloriosa morte, a Greccio, il giorno di Natale del Signore». Siamo quindi nel 1223, un anno importante per la vicenda dei frati Minori, perché il 29 novembre il papa Onorio III presso il Laterano aveva approvato con la bolla Solet annuere la loro Regola, che cosi andava ad aggiungersi ad altre ben consolidate, come quella di san Benedetto.

Tommaso da Celano informa che «circa due settimane prima della festività del Natale», ossia poco dopo la conferma della suddetta Regola, il Santo espresse a un abitante di Greccio, di nome Giovanni, il suo desiderio di «rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello». Poche righe, ma in cui è sintetizzato ciò che animava Francesco. Prima di tutto il desiderio di «vedere con gli occhi del corpo»: per Francesco vedere con gli occhi corporali è essenziale per la fede, la quale - come afferma nella prima Ammonizione mediante il binomio "vedere e credere" - non consiste in un non vedere, ma in un vedere ancora più profondo. Se vogliamo esprimere tutto ciò in un linguaggio più erudito e attuale - certamente estraneo al patrimonio culturale di Francesco - potremmo dire che la fede non elimina la ragione, ma la apre ai vasti orizzonti della carità e della verità.

Per realizzare il suo intento Francesco chiese a un uomo di Greccio di preparare una greppia con un bue e l'asinello; nella notte di Natale molta gente giunse nel luogo stabilito con ceri e fiaccole - proprio come si faceva nella liturgia in quel momento - e lì venne celebrata la Messa. Narrano le fonti che Francesco, essendo diacono, legge il Vangelo e «parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme». In quel momento c'erano sì il bue e l'asinello assenti nei Vangeli canonici, menzionati però dall'apocrifo Pseudo-Matteo che riprende Isaia 1,3, e interpretati dai padri della Chiesa rispettivamente come il popolo d'Israele, che porta il giogo della legge, e le genti, ossia gli incirconcisi - ma non vi era nessuno che rappresentasse i personaggi della Natività, ad esempio Maria o Giuseppe e neppure un bambino per raffigurare Gesù. C'era solo una mangiatoia - in latino praesepe -, i due animali, la gente che assisteva alla Messa e il diacono Francesco che predicava Gesù, il Bambino di Betlemme! In realtà quello può essere denominato un "presepe eucaristico"!

Tommaso da Celano conclude il suo racconto affermando che «per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria». Infatti immediatamente ciò che avvenne in quella notte per opera di Francesco ebbe una grande risonanza tanto che Greccio divenne un eremo importante nella storia francescana e ben presto nel luogo in cui fu posta la mangiatoia per l'asino e il bue si costruì una cappella raffigurandovi proprio le scene di quel Natale, come ancora oggi si può vedere. Con il tempo si diffuse la tradizione di rappresentare la scena della natività di Gesù con i diversi personaggi: basti pensare a quello, bellissimo, commissionato dal papa francescano Nicolò IV alla fine del secolo XIII ad Arnolfo di Cambio per la basilica di Santa Maria Maggiore e che ancora oggi si può ammirare nel museo della medesima basilica romana. C'è da evidenziare che, come Tommaso da Celano scrisse che per opera di san Francesco il luogo di «Greccio è divenuto come una nuova Betlemme», così Nicolò IV (1288-1292) volle fare della basilica romana una "seconda Betlemme", custodendo le reliquie della mangiatoia che accolse il Verbo fatto carne. Arnolfo di Cambio realizzò il suo presepe nel 1291, proprio l'anno in cui con la caduta di San Giovanni d'Acri venne meno l'ultimo avamposto latino in Palestina. Da tutto ciò si può evincere che il presepe è connesso anche con la ricostruzione della Terra Santa in Occidente - come avverrà con la Santa Casa di Loreto - e in questo diede un contributo importante san Francesco d'Assisi.

Se la narrazione di Tommaso da Celano presente nella Vita beati Francisci ci offre particolari importanti per conoscere cosa avvenne a Greccio nella notte di Natale del 1223, tuttavia la comprensione del pensiero e della spiritualità che mossero frate Francesco a quel gesto ci è offerta principalmente dai suoi scritti. Da essi traspare che egli attinge moltissimo dalla Bibbia - soprattutto mediante la liturgia-tanto che a volte i suoi componimenti sono delle vere e proprie concatenazioni di citazioni bibliche o commenti di versetti della stessa. Un esempio eclatante di cioè l'Ammonizione I, in cui parla del "corpo del Signore" e quindi dell'Incarnazione.

Riprendendo la richiesta di Filippo a Gesù riportata nel Vangelo secondo Giovanni (14,8), Francesco afferma: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Quindi vedere il Padre è la risposta adeguata alla domanda dell'uomo, proprio come diceva s. Agostino: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in te». Se vedere il Padre è il compimento dei desideri umani, tuttavia con grande realismo Francesco riconosce che «il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio». Questa affermazione è di un'importanza fondamentale perché fa pulizia di ogni proiezione umana, idolatria religiosa e strumentalizzazione di Dio, come purtroppo avviene spesso nell'integralismo e fanatismo religioso.

Ciò però non conduce Francesco a una sorta di agnosticismo, ma anzi gli fa riconoscere che Gesù è la via al Padre dal momento che egli ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Quindi Gesù è colui che evangelizza Dio, ossia dice la bella notizia che Dio è Padre; in questo modo, rivelando chi è Dio, rivela l'uomo all'uomo cioè la dignità di figli. Ma anche in questo caso Francesco non prende scorciatoie semplicistiche ed è costretto a riconoscere che «anche il Figlio, in ciò che è uguale al Padre, non è visto da alcuno in maniera diversa da come si vede il Padre né da come si vede lo Spirito Santo». Infatti molti riconoscono la grandezza di Gesù, considerandolo un profeta, o un filantropo, o un rivoluzionario; definizioni tutte che in sé non sono totalmente erronee, ma sicuramente riduttive. Per questo motivo Francesco prende atto che certamente è essenziale vedere Gesù «secondo l'umanità» - anche perché è il modo con cui è dato a noi uomini di conoscere - ma per giungere a vedere e credere «secondo 1o Spirito e la divinità». Questo tipo di conoscenza, che non elimina il vedere ma lo approfondisce, richiede quindi la presenza dello Spirito perché, dice Francesco, «lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore». Di conseguenza, guidati dallo Spirito Santo, anche noi possiamo essere come gli apostoli, i quali vedendo Gesù «con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio» In questo modo gli apostoli, animati dallo Spirito Santo, vedendo l'umanità di Gesù, vedevano e credevano alla sua divinità; ciò permise a loro di seguire Gesù, via che rende accessibile la luce di Dio, ossia di vederlo nel suo essere Padre. E la vista di questa paternità di Dio basta, ossia è la risposta adeguata alle domande dell'uomo: infatti, riconosce Francesco, «in tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli», cioè è l'Emmanuele, il "Dio con noi".

Se con un realismo direi estremo Francesco deve prendere atto che comunque a noi non è dato di vedere l'umanità di Gesù come avvenne per gli apostoli, tuttavia egli afferma che possiamo vedere il pane consacrato posto sull'altare nelle mani del sacerdote. Vedendo quel pane con occhi spirituali possiamo riconoscervi la presenza del corpo di Gesù che, come avvenne per gli apostoli, ci mostra il Padre. L'Eucarestia quindi è il luogo storico dove è possibile all'uomo di incontrare il volto di Dio, proprio come avvenne al momento dell'Incarnazione; per questo motivo Francesco volle a Greccio, nella notte di Natale, celebrare l'Eucarestia sulla mangiatoia e ciò non tanto per ricordare una cosa del passato, ma per contemplare, ossia fermarsi a guardare e credere con stupore che nell'umiltà del pane consacrato ogni giorno Dio diventa l'Emmanuele, cioè "Dio con noi", Questa Presenza che fa nuove tutte le cose è ciò che stupì anche coloro che vollero vivere il Vangelo sulle orme di san Francesco e molti altri che mediante il presepe possono ancora oggi «vedere con gli occhi del corpo» e credere al Verbo fatto carne.