Ven. Maria Clotilde Borbone di Francia

Nata a Versailles, Clotilde era la maggiore delle figlie femmine sopravvissute di Luigi, delfino di Francia, unico figlio maschio di Luigi XV, e della principessa Maria Giuseppina di Sassonia. In quanto nipote del re, era una Petite-Fille de France. In seguito alla morte del loro nonno paterno nel maggio del 1774, il fratello maggiore di Clotilde, Luigi Augusto, divenne re Luigi XVI di Francia.

A causa del suo sovrappeso, Clotilde in gioventù era soprannominata Gros-Madame. Assieme alla sorella minore Elisabetta, venne cresciuta da Madame de Marsan dopo la morte del padre nel 1765 e della madre nel 1767. Dato che si sposò e lasciò la Francia poco dopo che Luigi XVI salì al trono, Clotilde non ebbe tempo sufficiente per stringere uno stretto rapporto con la cognata, la regina Maria Antonietta, e non andavano particolarmente d'accordo. Clotilde è stata descritta come passiva e apatica, che dava percezione di insensibilità, ma era, comunque, molto legata a sua sorella, che avrebbe reagito alla sua partenza con difficoltà.

Nel 1775 andò in sposa a Carlo Emanuele, principe di Piemonte ed erede al trono di Sardegna. Nonostante il matrimonio fosse stato arrangiato per interesse politico, la coppia si rivelò subito molto affiatata e trovò nella sincera fede cristiana d'entrambi un forte e duraturo punto in comune. Per loro sfortuna l'unione non fu allietata dalla nascita di un figlio e così i due coniugi decisero di accettare serenamente la volontà del cielo abbracciando, assieme e di comune accordo, la regola del Terzo Ordine Domenicano (1794).

Nel frattempo, però, a Parigi era scoppiata la rivoluzione e la gioia di Clotilde per la visita del fratello maggiore conte d'Artois, fuoriuscito con la sua famiglia per organizzare la reazione, venne cancellata dal dolore causatole dalle tragiche notizie che arrivavano dalla Francia, dove l'altro fratello maggiore e sua sorella avevano perso la vita sulla ghigliottina. In seguito a ciò l'intera Europa mobilitò gli eserciti e cominciò la guerra contro il nuovo governo giacobino.

In tale contesto, la furia delle armate rivoluzionarie s'abbatté come una calamità su Torino e, quasi contemporaneamente, Carlo Emanuele ascese al trono in una situazione estremamente difficile: una parte del regno era occupata, le casse dello Stato erano vuote, l'esercito era indebolito e disorganizzato e tra le persone comuni covava la rivoluzione.

Verso la fine del 1798 il re fu costretto a cedere tutti i suoi domini peninsulari e la corte partì in esilio alla volta della Sardegna. A Cagliari Clotilde conobbe padre Giovan Battista Senes di Osilo, un ex-gesuita confessore delle monache cappuccine cagliaritane, che divenne suo assistente spirituale mantenendo tale compito anche dopo il ritorno sul continente e col quale si impegnò affinché i gesuiti tornassero nell'Isola e specialmente alla direzione del Convitto Canopoleno e della Casa Professa di Sassari e del Noviziato di Cagliari.

Dalla fine del 1799 in poi ella seguì il marito nel suo peregrinare per l'Italia alla vana ricerca d'appoggi per recuperare le terre subalpine, vivendo tra Firenze, Roma, Frascati, Caserta e infine Napoli, dove giunsero il 25 novembre 1800. Qui la reale coppia si stabilì nella zona di Santa Lucia, dal lato del Chiatamone, prima alloggiando all'albergo delle "Crocelle" e poi in quello dell'"Aquila Nera".

La regina prese a frequentare la chiesa di Santa Caterina del Terzo Ordine Regolare di San Francesco, trascorrendovi buona parte del suo tempo per raccogliersi in preghiere e aiutare i meno fortunati. Nel 1801, per un breve periodo, fu a Roma per partecipare ai riti della Settimana Santa e per conoscere il nuovo papa Pio VII, ma fu costretta a un repentino ritorno a Napoli per sfuggire a un tentativo di rapimento che i francesi avevano architettato ai danni del marito.

Meno di un anno dopo, a causa di una grave malattia, Clotilde si spense il 7 marzo 1802. Subito acclamata "angelo tutelare del Piemonte", il 10 aprile 1808, appena sei anni dopo la morte, venne dichiarata venerabile e se ne iniziò la causa di beatificazione. È tumulata nella cappella della "Buona Pastora" presso la chiesa di Santa Caterina a Chiaia, dove il consorte, rispettoso del suo desiderio di semplicità, le fece edificare una modesta tomba, poi restaurata su commissione dell'allora principe Umberto nel 1933.